Carlo Urbani

Carlo Urbani

Medico e ricercatore

Carlo si racconta

Mi chiamo Carlo, sono nato a Castelplanio un piccolo paese delle Marche, nel 1956.Nel desiderio di rendere concreta la mia fede, già durante il liceo ho cominciato aimpegnarmi nel volontariato e forse così è nata in me la voglia di diventare medico e di specializzarmi in malattie infettive, soprattutto quelle che colpiscono i paesi più poveri.

Aiutare chi soffre, giorno dopo giorno, è diventato il modo in cui la fede in Gesù Cristo ha trovato carne nella mia vita: donarmi agli altri; ho capito sempre più che i malati non hanno bisogno solo di cure, ma che il medico prescriva anche se stesso,una medicina per l’anima insieme a quelle per il corpo.

Nel 2000 mi sono trasferito in Thailandia con la mia famiglia per lavorare come medico dell’OMS, e proprio lì ho contratto una grave malattia, la SARS, che era ancora sconosciuta. Non sono riuscito a salvare la mia vita, ma ho fatto in tempo a dare il mio contributo per fermare il contagio. Sono cresciuto inseguendo i sogni e credo di essere riuscito a realizzarli: ringrazio Dio per ciò che mi ha donato.

Profilo (tratto dal sito Santi e Beati – http://www.santiebeati.it/dettaglio/92038)

Carlo Urbani nasce a Castelplanio (Ancona) il 9 ottobre del 1956 da Maria Concetta Scaglione e Alberto Urbani. I genitori credenti praticanti, gli trasmettono una fede profonda e l’impegno nel sociale. Alla sua formazione religiosa contribuisce anche l’amicizia col il parroco di Castelplanio, Don Dino Garbini, un sacerdote semplice, morto nel 2001. Carlo scrisse di lui: “Ricordo il Vangelo letto da Don Dino, la sua semplicità essenziale nello spiegare come il Signore si rivolge ai poveri. La fede di Don Dino mi ha accompagnato nel tempo. “Dopo gli studi liceali a Jesi, si laurea in Medicina nel 1981 ad Ancona. Nel 1983 si sposa con Giuliana Chiorrini, dalla quale ha tre figli: Tommaso (4 aprile 1987), Luca (29 maggio 1995), Maddalena (8 maggio 2000). Dal 1986 lavora nel reparto di Malattie infettive dell’Università di Ancona, prima di approdare come Aiuto – dal 1990 al 2000 – all’ospedale di Macerata, sempre nel reparto di Malattie infettive. Durante questi dieci anni tiene corsi di Parassitologia Tropicale in varie Università italiane ed inizia le sue diverse missioni in Mauritania e in altri stati dell’Africa Occidentale, diventando consulente dell’Organizzazione Mondiale della sanità. Così lo ricorda la mamma: “Carlo era umile, schivo, non amava che si parlasse di lui, ma era una voce che si levava per difendere i diritti dei più poveri. Carlo è stato un uomo di pace, un granello portatore di pace, di amore per l’umanità, testimone della pace che si trasmette agli altri”. Nel 1998 effettua altre missioni in Vietnam, Cambogia e nelle Filippine. Nel 1999 viene eletto Presidente Nazionale di “Medici Senza Frontiere” e di conseguenza membro del Comitato Internazionale, ritirando il Premio Nobel per la Pace, assegnato quell’anno a questa istituzione. Nel 2000 viene nominato esperto regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per la regione del Pacifico Occidentale e viene dislocato ad Hanoi, in Vietnam, dove si trasferisce con la famiglia, ma il 29 marzo del 2003 muore a Bangkok, vittima della SARS, dopo essere stato uno dei primi medici al mondo ad individuare il virus di questa malattia e aver avviato misure di contenimento del contagio che in Vietnam si sono rivelate molto efficaci. Carlo vive la malattia con la consapevolezza del medico. Quando i colleghi gli dicono che la febbre si era abbassata, lui non si fa illusioni, sa che la malattia non lo avrebbe perdonato. Poco prima di morire vuole incontrare un religioso. In una lettera scritta prima di ammalarsi dichiara: “Il lavoro mi coinvolge, ma sento la vita scorrermi addosso e non so se potrò realizzare tutto, ringrazio Dio per quanto mi ha dato”! Dopo la sua morte i familiari e gli amici hanno creato un’associazione, l’AICU, di cui la mamma è socia fondatrice e la moglie di Carlo presidente. L’associazione ha il compito di continuare il cammino che Carlo ha intrapreso. L’obiettivo primario di questa associazione è quello di preparare il personale medico e paramedico privilegiando persone che siano originarie dei luoghi dove si opera, attraverso corsi di specializzazione. La prima esperienza in tal senso si svolse a Macerata, e a promuoverla fu lo stesso Carlo.

[Autore: Elisabetta Nardi]

– Dio opera attraverso gli uomini e allora dobbiamo dare a Lui modo di agire attraverso noi.

– Nella vita credo di aver saputo distinguere gli indizi che mi hanno guidato fino a qua, e per arrivarci ho anche accettato di affrontare burrasche e scogli, ma ora non chiederei di meglio dalla vita.

– Ringrazio Dio per tanta generosità nei miei confronti, e mi sforzo di sdebitarmi lasciando che i miei “talenti” producano germogli e piante. Vorrei comunque fare di meglio, non tanto nel lavoro, dove do tanto, ma con gli affetti più prossimi.

– Mi sento un grande privilegiato al quale il Padre buono ha offerto una vita ricca, dove alcuni campi fertili non aspettano altro che vi semini responsabilmente i miei talenti. E a volte riscopro la Sua beltà nell’oggetto del mio lavoro, nei misteriosi fiumi che risalgo, fiumi d’acqua e fiumi di conoscenze, nei volti dei magri bambini nati come Lui in una capanna, o nei sorrisi coraggiosi di chi condivide il mio lavoro.

– Credimi, è bello muovere passi in questo grande villaggio, e scoprirne le ferite e le glorie. Credo che la Sua beltà ci si manifesti in mille modi, e pur se convinto che anche nel silenzio di un monastero o nelle limitazioni della clausura sia visibile, amo troppo scoprirla in nuovi orizzonti, o dietro occhi nuovi.

– A volte sussurrare una Avemaria in silenziosi tramonti mi causa leggeri brividi di emozione, e non smetto di raccomandarmi al Signore ogni volta che vedo una prova sul mio cammino. Non so se questo basti, anzi immagino che ci si aspetti di più da un “bravo cristiano”… per cui sto pensando di rimuovere il “bravo” dal cristiano che sono! Ma non ho dubbi che il Padre Buono saprà sempre alzare una mano per appoggiarmi carezze sul capo… almeno spero!

Intervista a Maria Scaglione, madre di Carlo Urbani, a cura di Elisabetta Nardi e Luciana Vissani (http://www.ridolfo.it/urbani/Urbani3.html)

* Per che cosa si impegnava Carlo Urbani e per quali obiettivi?

Nell’ultima lettera dal Vietnam Carlo scrive: “Sono cresciuto inseguendo i sogni ed ora credo di esserci riuscito.” – “Non so come ringraziare Dio per ciò che mi ha concesso”.

Carlo ha avuto una vita coerente nell’impegno, nel volontariato per i più deboli. Se la sua vita fosse stata legata solo all’evento della malattia il suo ricordo non sarebbe durato nel tempo così tanto, sono i valori che ha lasciato Carlo che ce lo rendono ancora presente.

Carlo ha dato la vita per cercare di avvicinarsi ai popoli più deboli, più indifesi. Ha avuto una visione più grande, la fede ha allargato il suo orizzonte (suonava l’organo in parrocchia, era consigliere di minoranza), ha iniziato un cammino di solidarietà con i campi di lavoro di Mani Tese, dei missionari saveriani.

Ha creato un ponte tra la Mauritania e Castelplanio, perché lui riusciva a coinvolgere sempre i suoi amici ed i suoi paesani quando raccontava le sue esperienze ed il suo desiderio di far del bene a quella gente. Carlo coinvolgeva, condivideva, faceva comunione con chi poteva, era proiettato verso i popoli dimenticati, quelli che non fanno notizia, per i quali non si parla di guerra come sopravvivenza quotidiana, erano i diritti di tutta l’umanità che interessavano a Carlo.

* Come è nato in Carlo il desiderio di essere medico?

Carlo ha sempre avuto il desiderio di fare il medico: già da bambino, con l’orsacchiotto, faceva il medico nei giochi.

* Quali erano le sue letture preferite?

Carlo leggeva di tutto: Gandhi, Albert Swartz, e tutto ciò che nutriva i suoi sogni, era nato con i suoi sogni.

* C’è stato un fatto, un’esperienza che ha fatto maturare in Carlo la decisione di dedicare la sua vita ai più bisognosi?

No. E’ stata una crescita armoniosa, sollevava lo sguardo e vedeva oltre; da studente raccoglieva le medicine e le portava in Africa, in Mauritania, e queste sue esperienze le faceva vivere alla comunità, creando un legame vivo fra Mauritania e Castelplanio, come quando fece una raccolta di quaderni per questo paese.

* Chi è stata la guida spirituale di Carlo? Da chi ha ereditato il sentimento religioso?

Io e mio marito eravamo credenti praticanti, portavamo Carlo con noi alle cerimonie religiose, come fanno tanti altri genitori. E’ stato importante il rapporto col il parroco di Castelplanio, Don Dino Garbini, un sacerdote semplice, morto nel 2001. Carlo scrisse di lui: “Ricordo il Vangelo letto da Don Dino, la sua semplicità essenziale nello spiegare come il Signore si rivolge ai poveri. La fede di Don Dino mi ha accompagnato nel tempo.”

D’estate Carlo andava a suonare l’organo nella chiesa di Don Dino, il quale lo apostrofava dicendo: “Bravo, bravo, Carletto!” Poi Carlo era diventato medico e Don Dino suo paziente. I frutti si colgono con il tempo, per Carlo la religione significava vivere cristianamente, non esserlo nell’aspetto esteriore. Carlo era solito recitare un’Ave Maria prima di dormire, ricordando i visi dei bambini visti e ringraziando Dio per ciò che gli permetteva di realizzare.

* Sono stati pubblicati dei testi autografi di Carlo?

Il Dott. Marco Albonico ha raccolto le lettere scritte da Carlo e quelle a lui indirizzate, ne è uscito un bel libro edito da Feltrinelli: Le malattie dimenticate.

* Che carattere aveva Carlo?

Carlo era umile, schivo, non amava che si parlasse di lui, ma era una voce: “Bisogna far conoscere i problemi dei più lontani”, soleva ripetere.

* Quale è stato un particolare riconoscimento dato a Carlo che lei ricorda particolarmente?

Io sono di Catania, e lo scorso anno sono andata a Pozzallo, il paese di Giorgio La Pira (in provincia di Ragusa), a ritirare la “palma della pace” data a Carlo.

* Come ha vissuto Carlo il momento in cui si è reso conto di avere una malattia mortale?

All’inizio i miei familiari non mi hanno detto nulla sul fatto che la SARS lo avesse colpito, ma quando vidi che i miei tre nipoti, i figli di Carlo, erano ritornati da soli in Italia, pensai che c’era qualcosa che non andava, ma certamente non pensavo a qualcosa di così grave.

Mi hanno detto che Carlo ha vissuto la malattia con la consapevolezza del medico. Quando i colleghi gli dicevano che la febbre si era abbassata, lui non si fece illusioni, sapeva che la malattia non lo avrebbe perdonato. Poco prima di morire ha voluto incontrare un religioso.

* Che ricordo ha lasciato Carlo nei figli?

Il figlio più grande ha respirato la figura del padre, vuol fare medicina e seguirne l’esempio, ma in questo momento ci sono le emozioni… poi si vedrà!

* Come è riuscito Carlo a conciliare il suo lavoro di medico, di padre di famiglia e di benefattore?

Qualche suo collega era convinto che i figli non sono da far vivere in determinati ambienti, ma Carlo non era di questo parere ed ha trovato una donna che la pensava allo stesso modo, permettendogli di realizzare i suoi sogni. La famiglia quindi si muoveva unita, la moglie ed i figli lo hanno sempre seguito, anche all’estero, per cui è vero quanto è stato espresso nel titolo di un articolo su Carlo: “In Cambogia, una famiglia in missione”.

* Carlo ebbe mai il sentore di morire giovane?

Carlo scrisse in una lettera: “Il lavoro mi coinvolge, ma sento la vita scorrermi addosso e non so se potrò realizzare tutto, ringrazio Dio per quanto mi ha dato”!

* Che ricordo le rimane di Carlo? Quale ritiene sia stato il suo testamento spirituale?

Penso alla vita di Carlo come ad una vita che continua, altrimenti il ricordo di quanto è successo sarebbe terribile…

Carlo è stato un uomo di pace, un granello portatore di pace, di amore per l’umanità, testimone della pace che si trasmette agli altri. Quando si dona si riceve molto.

Dopo la sua morte abbiamo creato un’associazione, l’AICU, di cui io sono socia fondatrice e la moglie di Carlo presidente. L’associazione ha il compito di continuare il cammino che Carlo ha intrapreso.

L’obiettivo primario di questa associazione è quello di preparare il personale medico e paramedico privilegiando persone che siano originarie dei luoghi dove si opera, attraverso corsi di specializzazione. La prima esperienza in tal senso si è svolta a Macerata, e a promuoverla fu lo stesso Carlo.

[Intervista realizzata a Castelplanio (AN) il 30 maggio 2004]

– Carlo Urbani, Le malattie dimenticate: poesia e lavoro di un medico in prima linea, Ed. Feltrinelli – 2004

– Pierluigi Fiorini, Carlo Urbani. Inseguendo un sogno, Ed. San Paolo 2004

– Lucia Bellaspiga, Carlo Urbani. Il primo medico contro la SARS, Ancora – 2004

– Lucia Bellaspiga, Medico senza frontiere, Ancora – 2013

– Vincenzo Varagona, Il medico della SARS, Ed. Paoline – 2013

– Anna Maria Vissani, Mariano Piccotti, Alessandra Cervellati, Carlo Urbani. ”In volo…sul mondo che amo”, Elledici – 2012

– Ilenia Severini, Carlo Urbani. Una vita per glia altri, La Spiga – 2019

– Jenner Meletti, Il medico del mondo. Vita e morte di Carlo Urbani, CD audio

Associazione Italiana Carlo Urbani (www.aicu.it)