Pino Puglisi
Sacerdote, vittima di mafia
Pino si racconta
Provengo da una famiglia umile, mio padre era un calzolaio, mamma faceva la sarta. A 16 anni sono entrato in seminario per diventare prete all’età di 23.Da allora ho servito Cristo in parrocchie periferiche, a contatto con gli orfani e le donne in difficoltà, a scuola coi ragazzi, in seminario con gli aspiranti al sacerdozio; a lungo ho lavorato per aiutare i giovani a scoprire la propria vocazione e a seguirla. Un giorno il vescovo mi ha proposto di tornare dove la mia vita è cominciata, Brancaccio, il quartiere più degradato di Palermo, periferia dimenticata dalle Istituzioni, famosa per essere il covo sicuro dei mafiosi più in vista della città. Sono tornato preoccupandomi di fare amicizia con i figli di tutti, della brava gente come dei delinquenti, a loro ho dedicato tutte le mie energie e il mio tempo nel tentativo di riportare alla luce la dignità umana e i valori del Vangelo. Nel giorno del mio 56° compleanno, qualcuno ha pronunciato il mio nome, ho avuto solo il tempo di salutarlo con un sorriso. Quel giorno il Cielo si è aperto anche per me.
Profilo (tratto dal sito Beato Padre Pino Puglisi – https://www.beatopadrepinopuglisi.it/biografia/le-tappe-della-vita/)
Don Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana di Brancaccio, cortile Faraone numero 8, il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio, Carmelo, e di una sarta, Giuseppa Fana, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno.
Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960 nella chiesa-santuario della Madonna dei Rimedi. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e dal 27 novembre 1964 opera anche nella vicina chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi a Romagnolo.
Dal 1962 è anche confessore delle suore basiliane Figlie di Santa Macrina nell’omonimo istituto.
Inizia anche l’insegnamento: al professionale Einaudi (1962-63 e 64-66) alla media Archimede (63-64 e 66-72), alla media di Villafrati (70-75) e alla sezione staccata di Godrano (75-77), al magistrale Santa Macrina (76-79) e infine al liceo classico Vittorio Emanuele II (78-93).
Nel 1967 è nominato cappellano presso l’istituto per orfani “Roosevelt” all’Addaura e vicario presso la parrocchia Maria Santissima Assunta a Valdesi.
Nel 1969 è nominato vicerettore del seminario arcivescovile minore. Nel settembre di quell’anno partecipa a una missione nel paese di Montevago, colpito dal terremoto.
Sin da questi primi anni segue in particolare modo i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffonde subito i documenti tra i fedeli, con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell’ecumenismo e delle chiese locali. Il suo desiderio fu sempre quello di incarnare l’annunzio di Gesu’ Cristo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.
Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo – segnato da una sanguinosa faida – dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo a riconciliare le famiglie dilaniate dalla violenza con la forza del perdono.
In questo periodo unisce le forze anche con Lia Cerrito e altri volontari del movimento Crociata del Vangelo (dal 1987 Presenza del Vangelo), fondato dal frate minore siciliano Placido Rivilli.
In questi anni segue pure le battaglie sociali di un’altra zona degradata della periferia orientale della città, lo “Scaricatore”, in collaborazione con il centro della zona dei Decollati gestito dalle Assistenti sociali missionarie, tra cui Agostina Ajello.
Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente è scelto dall’arcivescovo Salvatore Pappalardo come direttore del Centro diocesano vocazioni. Il 24 ottobre 1980 è nominato vice delegato regionale del Centro vocazioni e dal 5 febbraio 1986 è direttore del Centro regionale vocazioni e membro del Consiglio nazionale.
Agli studenti e ai giovani del Centro diocesano vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano.
A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre-Dame, Camminare insieme. Dal maggio del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la “Casa Madonna dell’Accoglienza” a Boccadifalco, dell’Opera pia Cardinale Ruffini, in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà.
Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e dall’ottobre del 1992 assume anche l’incarico di direttore spirituale del corso propedeutico presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro “Padre Nostro”, che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.
In questo periodo viene aiutato anche da un gruppo di suore, tra cui suor Carolina Iavazzo, e dal viceparroco, Gregorio Porcaro. Collabora con i laici della zona dell’Associazione Intercondominiale per rivendicare i diritti civili della borgata, denunciando collusioni e malaffari e subendo minacce e intimidazioni.
Viene ucciso sotto casa, in piazzale Anita Garibaldi 5, il giorno del compleanno, 15 settembre 1993.
La salma è tumulata presso il cimitero di Sant’Orsola, nella cappella di Sant’Euno, di proprietà dell’omonima confraternita laicale. Ad aprile 2013 la salma è stata poi traslata nella cattedrale di Palermo.
La sua attività pastorale – come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie – ha costituito il movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti mafiosi sono stati arrestati e condannati con sentenze definitive.
Per questo già subito dopo il delitto numerose voci si sono levate per chiedere il riconoscimento del martirio.
Nel ricordo del suo impegno, innumerevoli sono le scuole, i centri sociali, le strutture sportive, le strade e le piazze a lui intitolate a Palermo, in tutta la Sicilia, in Italia.
Commemorazioni e iniziative si sono tenute anche all’estero, dagli Stati Uniti al Congo, all’Australia.
A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo.
Nel dicembre ’98, a cinque anni dal delitto, il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio.
L’indagine è stata conclusa a livello diocesano nel maggio 2001 e l’incartamento è stato inviato presso la Congregazione per le Cause dei Santi in Vaticano.
Nell’agosto 2010 il Cardinale Paolo Romeo ha nominato il nuovo postulatore, mons. Vincenzo Bertolone.
A giugno del 2012 la Congregazione ha dato l’assenso finale alla promulgazione del decreto per il riconoscimento del martirio di don Puglisi.
Il 25 maggio 2013 la beatificazione al “Foro Italico Umberto I” di Palermo
– Ognuno di noi sente dentro di sé una inclinazione, un carisma.
Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile.
Questa chiamata, questa vocazione è il segno dello Spirito Santo in noi.
Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita.
– Venti, sessanta, cento anni… la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo Amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo.
– Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno.
Non è qualcosa che può trasformare Brancaccio.
Questa è un’illusione che non possiamo permetterci.
E’ soltanto un segno per fornire altri modelli, soprattutto ai giovani.
Lo facciamo per poter dire: dato che non c’è niente, noi vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualche cosa.
E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…
– Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione, il nostro progetto d’amore.
Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati.
Si riparte ogni volta.
Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l’invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito per poter dire: sì, ho fatto del mio meglio.
– A chi ha rabbia nei confronti della società che vede;
a chi è pieno di paure e di ansia;
a chi è impaziente perché ciò che desidera tarda a realizzarsi;
a chi è sfiduciato per le sue cadute.
Si deve dare la speranza a chiunque chieda segni di amore.
– «E’ importante parlare di mafia, soprattutto nelle scuole, per combattere contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi. Non ci si fermi però ai cortei, alle denunce, alle proteste.
Tutte queste iniziative hanno valore ma, se ci si ferma a questo livello,
sono soltanto parole. E le parole devono essere confermate dai fatti.»
– «Solo se si è amati si può cambiare; è impossibile cambiare se si è giudicati. Si può contribuire a cambiare qualcuno solo se gli si esprime il proprio amore, e nel proprio amore gli si dice: appunto perché ti voglio bene così come sei, desidero per te che tu cambi.»
– Credo a tutte le forme di studio, di approfondimento e di protesta contro la mafia. La mafiosità si nutre di una cultura e la diffonde: la cultura dell’illegalità. “
– A questo può servire parlare di mafia, parlarne spesso, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi.“
– Il primo dovere a Brancaccio è rimboccarsi le maniche. E i primi obiettivi sono i bambini e gli adolescenti: con loro siamo ancora in tempo, l’azione pedagogica può essere efficace… Ma già a quell’età non è semplice, perché tanti bambini sono costretti a lavorare o a rubare. E tante bambine vengono costrette a fare di peggio, perché esistono nel quartiere anche casi di prostituzione minorile.
Abbiamo bisogno di uomini di amore, non di uomini di onore; di servizio, non di sopraffazione»
Quando morì nel giorno del suo compleanno, coronò la sua vittoria col sorriso, con quel sorriso che non fece dormire di notte il suo uccisore, il quale disse: «c’era una specie di luce in quel sorriso». Padre Pino era inerme, ma il suo sorriso trasmetteva la forza di Dio: non un bagliore accecante, ma una luce gentile che scava dentro e rischiara il cuore. È la luce dell’amore, del dono, del servizio.
Don Pino lo insegna: non viveva per farsi vedere, non viveva di appelli anti-mafia, e nemmeno si accontentava di non far nulla di male, ma seminava il bene, tanto bene. La sua sembrava una logica perdente, mentre pareva vincente la logica del portafoglio. Ma padre Pino aveva ragione: la logica del dio-denaro è sempre perdente.
Non si può seguire Gesù con le idee, bisogna darsi da fare. «Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto», ripeteva don Pino. Quanti di noi mettono in pratica queste parole? Oggi, davanti a lui domandiamoci: che cosa posso fare io? Che cosa posso fare per gli altri, per la Chiesa, per la società? Non aspettare che la Chiesa faccia qualcosa per te, comincia tu. Non aspettare che la società lo faccia, inizia tu! Non pensare a te stesso, non fuggire dalla tua responsabilità, scegli l’amore! Senti la vita della tua gente che ha bisogno, ascolta il tuo popolo. Abbiate paura della sordità di non ascoltare il vostro popolo. Questo è l’unico populismo possibile: ascoltare il tuo popolo, l’unico “populismo cristiano”: sentire e servire il popolo, senza gridare, accusare e suscitare contese.
Così ha fatto padre Pino, povero fra i poveri della sua terra. Nella sua stanza la sedia dove studiava era rotta. Ma la sedia non era il centro della vita, perché non stava seduto a riposare, ma viveva in cammino per amare. Ecco la mentalità vincente. Ecco la vittoria della fede, che nasce dal dono quotidiano di sé.
(Papa Francesco, 15 settembre 2018)
«Era ordinario nella sua straordinarietà. Direi che è una persona che ha amato la vita. Sicuramente ha amato la libertà. È morto, secondo me, per insegnare ai giovani del quartiere di Brancaccio a camminare a testa alta, a non piegarsi davanti al potere mafioso, a non piegarsi di fronte alla prepotenza.» Suor Carolina (braccio destro di Padre Puglisi a Brancaccio)
– Puglisi, Il coraggio della speranza. 100 pagine di don Puglisi, Città Nuova – 2005
– Puglisi, Se ognuno fa qualcosa si può fare molto. Le parole del prete che fece paura alla mafia, Rizzoli – 2018
– Corrado Lorefice, «Siate figli liberi!». Alla maniera di don Pino Puglisi, Ed. San Paolo – 2019
– Augusto Cavadi, Lilli Genco, Padre Pino Puglisi. Il piccolo gregge, Il Pozzo di Giacobbe – 2013
– Francesco Deliziosi, Pino Puglisi, il prete che fece tremare la mafia con un sorriso, Ediz. ampliata, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli – 2018
– Fulvio Scaglione, Padre Pino Puglisi. Martire di mafia per la prima volta raccontato dai familiari, San Paolo – 2018
– Marco Pappalardo, Padre Pino Puglisi. Supereroe rompiscatole, Paoline Editoriale Libri – 2018
– Vincenzo Ceruso, Don Pino Puglisi. A mani nude, San Paolo – 2013
– Carlo Aquino, Enza Maria Mortellaro, Padre Pino Puglisi il samurai di Dio, Il pozzo di Giacobbe – 2013
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